Cultura

San Antonio da Padova in Bettona

Sebbene la chiesa di S.Antonio di Padova a Bettona sia stata, fino ai primi dell’Ottocento, una delle più belle chiese dell’Umbria, non è stata, finora, oggetto di studi approfonditi da parte degli storici dell’arte, probabilmente anche a causa della sua totale chiusura al pubblico negli ultimi decenni.

Maggior attenzione da parte degli studiosi hanno avuto le opere d’arte che la decoravano, conservate, oggi, per la maggior parte, nel Museo della Città dei Bettona.

Secondo le fonti, la chiesa sarebbe stata eretta, intorno all’anno 1502, per i Francescani Osservanti, sul luogo dove, in precedenza, si trovava una chiesa dedicata a S.Manno.

All’esterno, sul lato sinistro della chiesa si trova la piccola cappella di San Diego di Alcalà spagnolo santificato nel 1588, deliziosa cappella fatta edificare dalla famiglia dei Crispolti e dedicata ad uno dei più popolari santi spagnoli, cui, nelle Americhe, sono dedicate città, fiumi, baie e canali.

Francescano vissuto in povertà, recatosi a Roma per la canonizzazione di S.Bernardino da Siena in quel famoso anno santo 1450 e restato a curare i malati quando scoppiò la peste, mentre moltissimi altri, tra cui il papa, i cardinali, i nobili e diversi artisti lasciavano Roma per luoghi più sicuri – motivo per cui Benozzo Gozzoli verrà a Montefalco, a dipingere le chiese di S.Fortunato e di San Francesco.

In questa cappella venivano ospitate le donne in occasioni delle feste che si svolgevano nel chiostro di Sant’Antonio, essendo loro vietato di entrare nella clausura, come durante la festa di S.Antonio Abate, il 17 gennaio, che comprendeva la benedizione degli animali, la cavalcata dei cavalieri fino al Prato fuori Bettona e la distribuzione di speciali pagnottelle.

Come apparisse la chiesa ad un visitatore intorno all’anno 1811 lo sappiamo perfettamente, grazie alla puntuale descrizione che ne fa Pietro Onofri, al tempo parroco di Bettona, in un manoscritto intitolato Cronaca di Bettona conservato alla Biblioteca Comunale Augusta di Perugia, completamente trascritto da Elvio Lunghi.

Immaginiamo di poter accedere all’interno della chiesa dal portale centrale: la vasta, unica navata, presenta una ricca decorazione seicentesca. Su entrambi i lati si trovano due altari con decorazioni a stucco, dedicati a santi importanti per i Francescani di allora e la parete che chiude la navata ed introduce all’abside è, ormai, molto rara nelle chiese italiane.

Si tratta di una divisione usuale nelle chiese prima della Controriforma, di cui parleremo tra poco.

Le chiese francescane avrebbero dovuto avere, nei desideri di San Francesco, una forma semplicissima, con tetto a doppio spiovente e forma “a granaio”. Nessuna decorazione avrebbe dovuto distogliere il fedele dalla preghiera e dalla santa messa celebrata nella chiesa. Solo la luce, proveniente dalle finestre, avrebbe contribuito all’armonia dell’ambiente.

Anche per i Francescani “Osservanti” della Regola la chiesa sarebbe dovuta essere semplicissima, come anche il convento, privo persino del chiostro, ma davvero molto pochi Francescani si adeguarono alla Regola, preferendo introdurre una ricca decorazione e molti agii nei loro edifici.

Cosa avremmo visto se fossimo entrati in questa chiesa nel 1811?

Subito all’entrata, sulla destra, avremmo trovato un’acquasantiera, i cui resti si conservano tra i materiali conservati nel Museo della Città di Bettona.

Purtroppo il parroco Pietro Onofri non descrive le pitture all’interno delle cornici ottagonali, un tempo dorate, che decorano la parete destra e sinistra, sappiamo solo che l’unica scena dipinta conservata rappresenta Santa Chiara, che, reggendo il Santissimo Sacramento, impedisce ai pirati di entrare nel convento di S.Damiano.

Stranamente, Onofri descrive il tema del dipinto al centro della controfacciata (Morte di S.Giuseppe, con Gesù e Maria), ma non parla della pittura all’interno della cornice rettangolare lì accanto.

Si tratta del Trasporto di San Pedro Regalado al Santuario della Vergine: secondo la tradizione, il Santo spagnolo veniva trasportato da angeli, oltre fiumi e pianure, fino alla statua di Maria in un santuario molto lontano ed era in grado di trovarsi in diversi luoghi simultaneamente. S.Pedro Regalado, beatificato nel 1684, è il protettore dei toreri, avendo ammansito un toro, ferito durante una corrida, che stava per attaccarlo.

La prima cappella sulla sinistra era dedicata a San Pasquale Baylon, spagnolo beatificato nel 1618,  vissuto in povertà e umiltà, venerato come protettore delle donne, soprattutto delle nubili.

Essendo ritenuto l’inventore dello zabaione, è il protettore dei pasticceri.

In questa cappella era conservato il dipinto di Perugino Madonna della Misericordia, ora al Museo della Città di Bettona e una statua in legno del Santo che Onofri definisce “di eccellente manifattura”  oltre ad un confessionale in legno, entrambi conservati in un magazzino del Comune.

La seconda cappella era la Cappella del Crocefisso, dove si trovava un Cristo in croce, ora conservato nel deposito comunale. Anche questa cappella era dotata di confessionale.

Passiamo ora agli altari delle pareti laterali. Sappiamo, dalla descrizione di Onofri, che i due altari verso l’altare maggiore erano dedicati ai santi che ci aspetteremmo di trovare in ogni chiesa francescana: S.Antonio Abate (a destra), la cui statua in legno è esposta nella chiesa di Santa Maria Assunta  e S.Antonio da Padova (a sinistra), la cui statua in maiolica è conservata nel Museo della Città.

Sant’Antonio Abate, il santo eremita per eccellenza, vissuto, nel IV secolo, in totale povertà nel deserto egiziano, secondo i modi cui aspiravano gli Osservanti, l’unico in grado di guarire i malati da quel terribile morbo conosciuto con il nome di “Fuoco di S.Antonio”(herpes zoster) provocato da un fungo presente nella segale usata per fare il pane e che si pensava potesse guarire soltanto con il grasso di maiale. Per questo motivo, solo ai maiali dei conventi di S.Antonio, dove si curavano questi malati, era consentito scorrazzare in città, con un campanellino di riconoscimento. Da qui la venerazione per il santo, considerato protettore degli animali, che vengono benedetti in chiesa il giorno 17 gennaio.

Sant’Antonio da Padova, santo portoghese, taumaturgo, autore delle guarigioni impossibili, grande amico di San Francesco, l’unico cui Francesco chiese di insegnare ai giovani, perché nei suoi discorsi riusciva a fondere la conoscenza teologica al calore umano, al parlare semplice, in modo da poter essere compreso da tutti. È il santo invocato da coloro che hanno perso qualcosa, perché un giovane che gli aveva rubato un prezioso quaderno di appunti, fu costretto da diavolo in persona a riportarglielo.

Più difficile capire il perché della dedica degli altri due altari: S.Giovanni da Capestrano (destra) e S.Pietro d’Alcàntara (a sinistra).

S.Giovanni da Capestrano, francescano beatificato nel 1650, nato da madre abruzzese e padre tedesco, amico e collaboratore di S.Bernardino da Siena, predicava tenendo in mano la tavola con il simbolo creato da S.Bernardino.

San Pietro d’Alcàntara, santificato nel 1669: nato al confine tra Spagna e Portogallo, fu, secondo Santa Teresa d’Avila “un modello di virtù”, visse una vita di penitenza, di digiuno e di preghiera che lo resero inviso a molti francescani suoi contemporanei perché cercò, per tutta la vita, di riportare l’Ordine al rigore della prima Regola.

Arriviamo così alla parete dell’altare maggiore, esempio molto raro di parete a chiudere l’abside.

Questa parte era divisa dal resto della chiesa da una balaustra in legno, conservata ora al deposito comunale.

Sulla destra, in alto, era l’organo.

Sulla sinistra, in alto, un dipinto che rappresentava S.Biagio.

Fino alla Controriforma, cioè fino alla metà circa del Cinquecento, la messa veniva celebrata dai religiosi nell’abside, dove era un altare e il coro ligneo con le sedute (coro visibile nel Palazzo del Comune).

I fedeli, dall’altra parte della parete, sentivano la messa, ma non vi partecipavano attivamente. Per tentare di arginare la Riforma di Martin Lutero, si cercò di ridurre le separazioni tra clero e fedeli e si procedette all’abbattimento di queste pareti.

Questo raro esempio di parete pre-controriformista era decorata dal quadro di Jacopo Siculo Madonna in gloria e sei Santi  ora al Museo di Bettona.

Ma la scoperta più interessante è stato il lato posteriore di questa parete.

Sono ancora conservate le pitture parietali che mostrano le figure di San Francesco (a sin) e santa Chiara (a destra), rappresentati con un fondale a pittura illusionistica, ricca di elementi architettonici,  colonne e pareti marmoree.

Il  quadro descritto dall’Onofri, una Deposizione dalla croce, che era posto al centro della parete, è ora conservato al Museo.

Nella parte inferiore, si vedono ancora i piccoli angeli che dovevano decorare i lati dell’altare dove i religiosi celebravano la messa.

Conclusioni:

immaginando quale aspetto avesse la chiesa ancora nell’Ottocento, non può non risultare sconcertante quanto possa essere veloce il degrado di un luogo ricco di opere d’arte.

Fortunatamente ben conservate molte delle opere, ma, altri elementi lignei, come i confessionali, il crocefisso, le statue di S.Antonio e di san Pasquale, hanno urgente bisogno di restauri.

Sarebbe interessante indagare, tra l’altro:

quali edifici sorgessero in questo promontorio prima della costruzione della chiesa;

quale fosse la decorazione della chiesa precedente a quella seicentesca

il periodo storico in cui inquadrare le dediche a santi di lingua spagnola o portoghese beatificati tra  il 1618 e il 1684. È noto che l’influsso della Spagna sullo Stato della Chiesa nel XVII secolo sia stato dominante: molto attiva  nel contrastare la Riforma luterana, la Spagna si incaricò di  diffondere il cattolicesimo nelle colonie oltreoceano. Per controparte, la Chiesa nominò molti religiosi spagnoli Beati e Santi, soprattutto Francescani Osservanti, sostenuti dalla monarchia spagnola. Talmente tanti che, in occasione della canonizzazione di San Filippo Neri, nel 1622, a Roma si diffuse la battuta  “il papa ha canonizzato un santo e quattro spagnoli”.

Come è stato osservato: il cattolicesimo, ma ancor più il francescanesimo osservante del primo Seicento “parla spagnolo.”

È auspicabile che tutto il complesso di Sant’Antonio da Padova – chiesa, convento e giardino – sia al più presto oggetto di un profondo restauro, volto all’apertura del sito al pubblico e all’utilizzo degli ambienti per manifestazioni culturali.

— Barbara Barlettelli

Sant'Antonio3Complesso di Sant’Antonio da Padova a Bettona